Video di Giuseppe Angeloni
Che parole utilizzare per descrivere le emozioni che hanno provato i nostri piloti di enduro durante il Rally del Montefeltro? Se aveste potuto vedere i loro occhi brillare durante il racconto di questi 2 giorni indimenticabili!
C’era chi era più navigato, chi era alla prima esperienza di navigazione con il Road Book, chi si è messo ancora una volta alla prova… In totale 8 piloti: Martina, Jennifer, Monica, Andrea, Simone, Davide, Lorenzo e Marco , di capacità, età diverse che hanno vissuto una prova non di quelle più semplici. Ed è anche per questo che la soddisfazione è stata tanta. Siamo anche felici di dirvi che tra questi piloti, sono state 3 le girls che hanno partecipato, portando la bandiera del nostro Moto club e questo ci rende, scusateci se pecchiamo di superbia, molto orgogliosi.
Ma ora vogliamo lasciare che siano le parole di Jennifer Santoro a raccontarvi questa esperienza: le parole di Jennifer le potete trovare anche sulla rivista l’Endurista.
BRAVI TUTTI!!!
Di Jennifer Santoro:
Il bello del roadbook, intendo proprio il rotolo di carta che si svolge e si riavvolge, è che si tratta di una narrazione. Il tracciatore ha fatto quella esplorazione prima di te e te la offre, poi tu te la vivi a modo tuo, come un libro di avventura. Simone nel mio gruppo, prima di partire, ha saggiamente osservato che il pilota di motorally non si perde: per definizione, egli pascola.
Ho deciso di abbracciare questa filosofia e sono partita, pensando che in realtà quello che per indole dovrei fare è proprio il tracciatore, l’unico autorizzato a fermarsi a un incrocio e ragionare, e poi scegliere il percorso per sé e per gli altri. Ma siccome disgraziatamente non sono un tracciatore, calata nella fredda cronaca del Motorally del Montefeltro sono soltanto una fermona al suo primo motorally, a bordo di una moto strepitosa in ogni aspetto, salvo per il fatto che non ha quasi freno posteriore. Il KTM freeride 250 2 tempi del 2016 che guido è la moto perfetta per me: di derivazione trialistica, è piccola, leggera, ignorante (che in bolognese significa aggressiva) in salita ed estremamente maneggevole. Il mezzo ideale per una donna non particolarmente prestante in quanto a stazza e forza fisica.
Il territorio del Montefeltro non mi era sconosciuto, perché la scorsa estate avevo fatto un magnifico giro con Claudio Ciacci e Giuseppe Angeloni del Motoclub del Montefeltro. Ogni tanto Claudio diceva “questo è un tratto del Motorally del Montefeltro, l’anno prossimo ci venite anche voi”. E io pensavo “sì, come no” e invece l’anno dopo ci sono andata davvero.
Su questo aspetto del fare cose che non avrei detto di poter fare, c’è un punto importante, che ha a che vedere anche col fatto che sono una donna, e per di più poco esperta: quello che faccio lo faccio perché voglio, ma riesco a farlo perché mi muovo con un gruppo eccezionale. Del Motoclub della Futa al Motorally del Montefeltro eravamo in otto, di cui tre donne. Oltre a me, Monica e Martina, al motorally hanno partecipato solo altre due ragazze.
Non intendo farne una questione di genere, ma nel motorally e nell’enduro in generale la strada è la stessa, sia che tu sia alto un metro e 80 per 90 chili, sia che tu sia alta un metro e 65 per 55 chili. È una fatica spaventosa, davvero, anche mentalmente. Allora, la forza di volontà è un conto, ma se non hai attorno il gruppo che spinge con te, secondo me non ce la fai.
E ci vuole molto spirito di gruppo perché uno come Marco Degan, che corre (e talvolta vince) l’italiano di motorally (attualmente in categoria marathon), stia lì con te a spingere e magari tirarti materialmente fuori dai guai. E soprattutto farti ripartire, quando a volte il cervello è sul punto di bloccarti.
I guai capitano a tutti e ovunque, fuoristrada, ma il territorio del Montefeltro (quantomeno per il percorso dei monocilindrici e dalla mia prospettiva di neofita del roadbook e principiante dell’enduro) è bello, ma anche impegnativo: ci sono moltissimi sassi, una quantità smodata di sassi smossi, in ogni punto, in ogni direzione. I passaggi tecnici non mancano.
Per esempio, lungo una salita che avevo sottovalutato, mi fermo e non riesco a ripartire. Mi piomba addosso come un falco Marco, che esordisce “ma come puoi pensare di @#§[*… [completare con shampoo di bestemmie a piacere]… adesso scendi e la rifai”. Concentratissima torno indietro, mi sistemo e riparto sparata a gas aperto (per fortuna la mia moto è docile e non ha la tendenza a ribaltarmisi in testa in queste circostanze). Solo che nel frattempo era arrivato un gruppone che, proprio dove la salita (che era ripida e sconnessa) voltava a destra, aveva deciso che certamente quella era la strada sbagliata: tutti fermi.
Segue negoziazione, discussione, lettura critica comparata del roadbook, ma alla fine si fanno persuasi che è la strada giusta solo quando arriva una scopa e chiede che diavolo ci facciamo lì in mezzo. Io piantata in coda li guardo ripartire senza fatica e penso che questa cosa di navigare, a tratti, è una grossa seccatura.
Di rientro dalla prima giornata, su un percorso di oltre 150 km, ho incontrato Claudio e gli ho chiesto conferma del fatto che, come si vociferava, il percorso della domenica fosse più breve: più breve e più semplice, mi ha detto, vogliamo che poi torniate anche a casa.
Era vero, il percorso della domenica si è rivelato meno tecnico e più scorrevole.
Ma la verità è che ho dovuto farmelo raccontare da Monica, perché il sabato, agitatissima, non avevo avuto la pazienza di mettere le ginocchiere antitorsione, e a un certo punto ho preso il più banale dei tirotti al ginocchio destro e ho zoppicato per una settimana.